Sito Archeologico di Vassallaggi

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Sito Archeologico di Vassallaggi: what's to know

Il sito archeologico di Vassallaggi, prossimo all’odierno abitato di San Cataldo, in provincia di Caltanissetta, si articola su un sistema di cinque collinette poste tra il medio corso del fiume Salso ed il corso superiore del Platani.

 

Anche in questo caso, per la sua favorevole posizione, il sito fu precocemente frequentato a partire dall’Antica età del Bronzo (2200-1450 a.C.), alla quale si riferiscono la necropoli di grotticelle artificiali aperte sui fianchi della seconda collina e il villaggio posto sulla sommità della stessa collina, indiziato da moltissimi frammenti ceramici decorati nello stile di Castelluccio.

 

Fra i secoli VIII e VII a. C., un insediamento indigeno si impiantò sulla terza collina, documentato da molti ritrovamenti ceramici nello stile di S. Angelo Muxaro – Polizzello. Ad esso si ricollega una necropoli di tombe a camera scavate sulle pendici meridionali dello stesso colle.

 

Nel corso del VI secolo a.C. il centro, certo in ragione della sua strategica ubicazione rispetto alle vie di collegamento tra le coste meridionali e settentrionali dell’isola, fu attratto nell’orbita politica- militare di Agrigento (sub colonia di Gela fondata nel 580 a.C.) che, sotto il tiranno Falaride, intraprese una strategia di espansione verso Nord, in direzione della costa tirrenica della Sicilia. Ebbe dunque inizio l’ellenizzazione di Vassallaggi che venne in tale circostanza trasformato in un phrouriom, o avamposto militare fortificato, tra l’altro dotato di un muro di cinta del tipo ad àggere (cioè con terrapieno).

 

È pertinente a questa stessa fase la necropoli di tombe a camera scavate sulle pendici della quinta collina, con ricchi corredi caratterizzati da ceramiche sia indigene che d’importazione e da notevole abbondanza di manufatti metallici, come monili in bronzo, coltelli, placchette, strumenti agricoli in ferro.

 

Tra il VI e il V secolo a.C. venne inoltre costruito, in posizione centrale fra la seconda e la terza collina, il santuario urbano dedicato alle divinità ctonie Demetra e Kore, un culto questo tipicamente greco e peraltro diffusissimo ad Agrigento. Analogamente ad altri coevi complessi sacri della Sicilia, il santuario presenta, all’interno di un muro di recinzione in pietrame (temenos), una semplice cella rettangolare (oikos), priva di colonne. Un altare in posizione obliqua (NE–SO) destinato alla celebrazione di sacrifici, fronteggia esternamente il lato breve Est del tempietto, che era inoltre servito da una serie di ambienti minori, di destinazione comunque sacra, disposti all’intorno. I rinvenimenti effettuati all’interno del santuario comprendevano busti in terracotta delle due divinità femminili, piatti decorati a rilievo, figurette zoomorfe, armi, monete, decorazioni architettoniche a maschera silenica o con motivi a palmetta.

 

L’indagine archeologica documenta a Vassallaggi, intorno alla metà del V secolo a.C., una violenta distruzione seguita da una rapida ricostruzione. Tale circostanza, in unione alla localizzazione del sito, è stata considerata una riprova dell’identificazione di Vassallaggi con l’antica città di Motyon, ricordata dagli storici antichi (Diodoro IX) come un caposaldo militare agrigentino espugnato nel 451 a.C. dal condottiero Ducezio, postosi alla testa della confederazione dei Siculi in rivolta contro i Greci di Sicilia.

 

Proprio l’immediata riconquista della postazione da parte di Agrigento, nel 450 a.C., sarebbe stata determinante per la repressione della rivolta stessa e la definitiva sconfitta di Ducezio.

 

Nella seconda metà del V secolo a.C  l’insediamento, ricostruito in seguito agli eventi sopra citati, raggiunse la sua massima espansione, interessando tutte e cinque le alture del sistema collinare ed articolandosi in isolati quadrangolari e in complessi domestici a più ambienti, disposti intorno a una corte centrale, come mostrano in particolare i resti rinvenuti sulla seconda collina.

 

Si riferisce a questo momento della vita di Vassallaggi la necropoli meridionale posta ai piedi della seconda collina, e caratterizzata soprattutto da inumazioni in sarcofagi di gesso alabastrino o in tombe “alla cappuccina”, da incinerazioni, da sepolture infantili a enchytrismos (cioè deposizioni di bambini entro contenitori ceramici). Notevole ricchezza e raffinatezza denotano i relativi corredi funerari, con un’elevatissima percentuale di importazioni attiche a vernice nera e a figure rosse spesso riconducibili alle migliori scuole ed officine atenesi della seconda metà del V secolo a.C. Vi è in particolare ben rappresentata la produzione figurativa dei manieristi polignotei, con il Pittore di Kleophon e il Pittore Shuvalov.

 

Successivamente alle devastazioni cartaginesi degli anni 409–405 a.C., il sito conobbe una probabile ripresa intorno alla metà del IV secolo, periodo nel quale molta parte dell’isola attraversa una fase di prosperità legata all’opera pacificatrice svolta dal condottiero corinzio Timoleonte.

 

Al IV secolo si assegna l’uso dell’imponente cinta fortificata con basamenti in blocchi calcarei ed elevato in mattoni crudi, il cui impianto potrebbe tuttavia risalire all’epoca di poco anteriore. Parzialmente riportato alla luce tra il 1983 e il 1986, il muro è tecnicamente confrontabile con analoghi esempi a Gela, Camarina, Eraclea Minoa, Reggio di Calabria.

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